“…è risultato non di poco conto riuscire a raccontare la violenza sessuale senza cedere alla retorica. Lo spettacolo riesce anzi, inaspettatamente, a colorarsi di tenerezza, a strappare un sorriso, persino a lasciare un’impressione di levità.”
di Chiara Boscaro
regia Marco Di Stefano
con Valeria Sara Costantin e Diego Runco
un progetto La Confraternita del Chianti
una produzione Associazione Interdisciplinare delle Arti/Ass. Cult. K. in collaborazione con Teatro In-folio
progetto di produzione selezionato e sostenuto da Scarlattine Teatro – Progetto Cantiere Campsirago
testo finalista Premio Hystrio – Scritture di scena 2013
vincitore del Premio Pradella 2016 – Accademia dei Filodrammatici di Milano
in collaborazione con Teatro dei Filodrammatici
progetto grafico Mara Boscaro
foto Federica Lissoni
si ringrazia Ugo Chiti
Una donna passeggia tra l’erba e viene morsa da un serpente. Scende agli inferi, la casa di Ade. Di lì non si esce. Orfeo, il suo uomo, non ci sta. La segue, scende anche lui, ma da vivo, e prega il dio finché non gli concede di riportarsi a casa Euridice. A una condizione, però: qualsiasi cosa succeda, lui non dovrà mai voltarsi indietro. Se lui si volta, lei è perduta. Ma che succede se lei, lì sotto, si trova bene? E che succede se questo è l’oggi? Orfeo e Euridice sono una coppia, sono giovani, hanno tutto il tempo del mondo. Lei subisce una violenza sessuale, e da quel momento si rinchiude in se stessa e nella propria casa, un personale oltretomba. Da questo inferno lui viene escluso, anzi, cacciato. “La storia è finita”, gli viene detto, e che si cerchi un altro passatempo. Ma lui non la lascerà scivolare via. Con l’arroganza di quello che lui chiama amore si presenta davanti a una porta chiusa, a reclamare la sua donna, la sua amata. Non ha altre parole per dirlo, se non quelle dei film, non ha parole per definire nulla di quello che sta per scoprire. Il male. La porta è chiusa. Lui minaccia, prega, blandisce. Ci va da vivo, da ignaro, non sa che dovrà mettere in gioco molto, e pure perdere qualcosa, per riavere indietro la sua Euridice. Non sa che dovrà aspettare, non sa che dovrà affrontare una verità orrenda, prima di poter convincere Euridice a tornare da lui, alla luce. Con questo testo cerco di parlare della difficoltà linguistica della mia generazione di fronte al dolore. Noi sfuggiamo alle definizioni, troppo banali per venire inquadrati e troppo fluidi per trovarci un’identità da soli. Una cosa è chiara, viviamo nel terrore del dolore e della morte, evitiamo di parlarne, ce ne vergogniamo. Se non ne parliamo, non esiste. Ma poi, quando c’è davvero, non abbiamo più parole per parlarne.
Chiara Boscaro
Una porta. 7 centimetri di blindatura. 7 centimetri. È lo spazio che divide Lui da Lei, Orfeo da Euridice. 7 centimetri che nel testo di Chiara Boscaro rappresentano la distanza tra la vita e gli inferi. Lavoriamo sulla porta, sul passaggio, sulla volontà o meno di superare quella soglia. Una porta. Un appartamento. Un pianerottolo. Un dramma da camera, uno spazio ridotto dove Lei vive, un monolocale come ce ne sono tanti in una città come tante. Una storia di violenza sessuale come, purtroppo, ce ne sono tante.Ma quella soglia è unica. È la membrana che separa dalla rinascita. Ma Lui è il primo che deve superare la soglia dell’inferno. È Lui che deve entrare perché lei possa uscire. Camminiamo per strada e vediamo i palazzi che ci circondano e non immaginiamo quali e quanti inferni si nascondano dietro quelle porte. Lavorare sui quei sette centimetri, sullo spazio ristretto dove si giocano vita e morte. Sentire le parole come le sentono i personaggi del testo, filtrate da una parete. E poi, quando la porta si apre, cogliere le differenza. Perché la differenza e tutta lì. Se quella porta rimane aperta. O se quella porta rimane chiusa.
Uno spazio scenico ridotto al minimo. Una porta. Non abbiamo bisogno di altro per raccontare questa storia. Lavoriamo sulle piccole cose, sui respiri, sulle gambe che tremano, sulle mani che finalmente si sfiorano. Senza patetismi inutili o stupide decorazioni.
Abbiamo tre personaggi: Lui. Lei. La porta. Concentriamoci su di loro.
Marco Di Stefano
Rassegna stampa
“Costruito su una intelligente e bellissima drammaturgia di Chiara Boscaro, con la regia di Marco Di Stefano, è “Non voltarti indietro” de La confraternita del Chianti, spettacolo anch’esso vincitore del bando Residenza Campsirago, riduzione contemporanea di “Orfeo ed Euridice”, sul tema della violenza sulle donne, coniugato questa volta con una discrezione di accenti veramente encomiabile, che porta piano piano lo spettatore al centro del problema.”
(Mario Bianchi, www.klpteatro.it)
“La lezione che l’Io apprende da questa vicenda drammatica potrebbe allora essere forse questa. Se si intende trasformare le ombre del cuore che annebbiano la coscienza e impediscono di amare in qualcosa di costruttivo per la persona, bisognerà sforzarsi di educarsi alla pazienza, alla fiducia, al coraggio di aprirsi senza dannose resistenze verso l’altro.”
(Enrico Piergiacomi, www.teatroecritica.net)
“I due attori, Diego Runco e Valeria Sara Costantin, hanno saputo rendere palpabile la sofferenza senza bisogno di urlarla e, proprio per questo, sono riusciti a farla emergere ancora più profondamente. La mirabile regia di Marco Di Stefano e il testo di Chiara Boscaro, finalista al Premio Hystrio 2011- Scritture di Scena_35, hanno confermato la validità dei lavori del collettivo artistico La confraternita del Chianti di cui fanno parte. Un’occasione da non perdere, per avere una soglia da varcare, senza voltarsi indietro.”
(Francesca Ruina, www.persinsala.it)
“Ne deriva una partitura drammaturgica asciutta, efficace, che non si concede il lusso di un urlo o di un lamento: ed è risultato non di poco conto riuscire a raccontare la violenza sessuale senza cedere alla retorica. Lo spettacolo – diretto da Marco di Stefano, secondo il medesimo proposito di essenzialità – riesce anzi, inaspettatamente, a colorarsi di tenerezza, a strappare un sorriso, persino a lasciare un’impressione di levità. Perché alla porta c’è qualcuno che bussa e che si ostina a non voler accettare rifiuti. Non si tratta certo del principe azzurro: l’attore Diego Runco è bravo a farci immaginare un ragazzo qualunque, goffo, ingenuo, inadeguato.”
(Maddalena Giovannelli, www.stratagemmi.it)
“Sono i presupposti perché una trama che dovrebbe essere piena di pàthos diventi – piuttosto – un discorso proprio sull’assenza di pàthos, di sincera compartecipazione emotiva, di affettività. Come rendo la difficoltà a prendere contatto col male che ci appartiene? Come rendo una storia in cui Lei e Lui non comunicano anche se si parlano per tutto il tempo? Come rendo l’assenza di attenzione reciproca anche se si guardano e dividono lo stesso spazio per un’ora? Come rendo la freddezza che si cela dietro il calore che viene dalle urla, dalle dichiarazioni di desiderio o dalle richieste di rispetto?”
(Alessandro Toppi, www.ilpickwick.it)