Chi è Riccardo Tabilio?
Faccio l’autore teatrale, ma sono anche un po’ musicista e mi piace lavorare con il suono e con la voce: collaboro con varie compagnie del Nord Italia come Kepler-452 a Bologna, Tournée da Bar e i Guinea Pigs a Milano. Faccio tanto teatro… tecnologico, performance audioguidate e in remoto, per esempio; a questo proposito, nel 2020 ho avuto la fortuna di collaborare con i Rimini Protokoll per Zona K a Milano, per la performance Fase Nove. Un lavoro fondante, per me.
Di cosa parla Leviatano?
Leviatano prende spunto da un caso di cronaca degli anni Novanta: una rapina in banca che all’epoca fu riportata da un paio di trafiletti su un giornale locale statunitense, ma che – grazie al suo improbabile protagonista, a una ricerca universitaria e soprattutto a internet – è divenuta un caso mondiale. Parla di incompetenza e stupidità come forze sociali, distruttive e creative. Soprattutto parla di noi, direi, che di quegli anni, di quell’alba post-ideologica – con le sue storie e le sue scorie – siamo i figli.
Perché lo hai scritto?
È il risultato di varie fonti che mi intrigavano. Sono incappato nel «Modello Dunning-Kruger» per caso: forse me ne ha parlato mio fratello. Online è un meme super-pop: praticamente è un grafico che descrive e predice la stupidità delle persone. E poi, da questo grafico, ho risalito la corrente e sono andato a pescare la storia del rapinatore che fu spunto della ricerca di Dunning e Kruger. Una storia magnifica, tragica, un po’ punk e un po’ western. Una storia alla Fargo dei Fratelli Coen.
Come è stato scriverlo?
Faticoso. Avevo tra le mani tutto un filone mitico-biblico a cui non volevo rinunciare, una storia che aveva fomentato me e il gruppo di attrici-autrici con cui lavoro: un’interpretazione del mito di Davide e Golia che mi piaceva moltissimo – e questo era il problema! Alla fine anche grazie a Davide Carnevali me ne sono liberato, ma è stata dura. È stato giusto così. Comunque il mito biblico alla fine è rientrato dalla finestra, nel titolo, che è preso da un romanzo di Paul Auster. Tra l’altro è un libro che mi regalò un’attrice della Confraternita del Chianti, Valeria Sara Costantin!
Come ti aspetti lo spettacolo finito?
Domandona. Mi piacerebbe che fosse forte, anche in un senso letterale del termine. Contrastato, ruvido, ad alti decibel. Quando dico che parla di noi, vuol dire proprio di noi – generazione Y, svezzata a Kurt Cobain e Barbie Girl. Nata in un mondo disperante e plasticoso allo stesso tempo, che si allunga sotterraneo fino a oggi. Nei brani dei Nirvana, degli Smashing Pumpkins e nei primi System of a Down non c’è questa dialettica vuoto-pieno, sussurro-growl, arpeggini-distorsioni, angoscia-euforia? Presente? Ecco: così.