di Chiara Boscaro
Siamo nell’ambito dei viaggi epici, di quelli che al cinema ci farebbero un road movie. Siamo in due sulla Chiantimobile, dietro abbiamo una tenda Quechua di quelle che si montano in un minuto e la scenografia di GENESI pentateuco #1. La destinazione è Policoro, Basilicata. Abbiamo 1989,6 km davanti a noi. In statale.
Giorno 1
Per un centinaio di chilometri seguiamo il navigatore della macchina, poi ci accorgiamo che non è aggiornato e ci sta portando in Romania. Torniamo indietro e ci affidiamo a Google Maps. Da qui in poi, tra i due aggeggi sarà un duello senza esclusione di colpi.
La Pianura Padana si srotola sonnacchiosa davanti a noi, tra campi di mais, capannoni, capannoni, campi di mais, “ah guarda una cascina abbandonata potremmo farci il nostro teatro”, capannoni, trattorie da camionisti, ipermercati, il labirinto più grande del mondo, la terra delle tigelle e poi tutte le cinquanta sfumature di piadina tra i lidi ferraresi e le Marche (confessiamo di preferire la marchigiana). E poi, il mare.
La sera ci accoglie un posto magico, un campeggio sul promontorio, frequentato solo da olandesi e, soprattutto, silenzioso. Si chiama Camping Paradiso, i nomi non sono mai casuali.
Giorno 2
Ci svegliamo sotto la pineta, nel silenzio. Condividiamo i cornetti caldi e il cappuccino con i silenziosissimi bambini olandesi e senza far troppo rumore ripieghiamo la tenda lanciabile. Ripartiamo in punta di piedi e con la brezza del mattino presto, dritti verso il sud. Le case si abbassano e schiariscono, i pini marittimi diventano palme, il mare è una striscia azzurra che ci teniamo sulla sinistra.
Ci fermiamo a mangiare un gelato a Pescara, i passanti ci consigliano la Gelateria Bibò.
Prima del tavoliere facciamo sparire una cassa da sei di acqua frizzante e tre pacchi di taralli, e il Confratello Marco si dilunga sulle differenze tra frittole, pittule e pettole e sulle gioie della viabilità pugliese.
A Policoro arriviamo che è quasi notte. Da qui in poi sarà una lunga, ininterrotta, maratona di mangiate di pesce.
Ah, il mare non lo vedremo mai.
Giorno 3
Si lavora. E quando si lavora, si lavora. A tratti si va in piscina, o si mangiano penne con pesce spada e peperoni cruschi, ma comunque si lavora.
Giorno 4
Iniziamo la risalita.
È una di quelle rare giornate in cui pioverebbe pure in mezzo al deserto, e il cuore della Basilicata un po’ lo è, tra brulle colline e valli arse.
Il Gargano è coronato di nubi grigiastre, l’Adriatico ribolle, i camionisti scalpitano. Passiamo il confine con la Puglia, passiamo il confine con il Molise (sì, esiste) e ci fermiamo a Termoli per un trancio di tonno alla griglia da Recchi Fish, ottimo self-service di mare con cucina a vista.
Procediamo, a ogni angolo un nuovo manifesto gareggia col Circo Orfei nell’attirare l’occhio dell’autista distratto e lusingarlo con sagre e feste in collina. La collina qui è bella e quasi selvaggia, si allunga tra castelli e borghi fino ai Monti Sibillini.
La sera ci fermiamo in un campeggio a Cupra Marittima. Si chiama Led Zeppelin, e in mezzo non ci scorre il fiume, ma il Frecciarossa.
Giorno 5
Ci sveglia l’espresso delle 8.10. È domenica, è giornata di partenze e non solo per noi.
Giacche a vento colorate, ombrelloni decapitati e camper solitari in attesa di tempi migliori.
Ci mancano 497,3 chilometri fino a casa, il bonus piadina ce lo giochiamo a Riccione e poi via, verso la piana.
Anche stavolta, come ogni volta che passiamo davanti all’indicazione per Cavriago (RE), siamo tentati da una deviazione verso Piazza Lenin e il busto cantato dagli Offlaga Disco Pax, ma rimandiamo.
La tempesta di ieri ha lasciato una nota di verde nel paesaggio, dopo il Po lascia il posto all’acciaio di capannoni e ciminiere, ma rimane nell’aria.
La Chiantimobile trabocca di chiacchiere, briciole e bottiglie di plastica accartocciate. Abbiamo le gambe un po’ anchilosate, ma ormai siamo a casa, c’è da scaricare.