di Chiara Boscaro
Dove si parla di campagne elettorali, di mercati bellissimi, di quartieri dove abitare (avendo i soldi), di prossimi progetti, di teatri con il metal detector, ma soprattutto di come riuscire a non mangiare mai cucina francese in Francia.
Non è vero.
Il bello delle capitali europee, dal punto di vista mangereccio, è che si può onorare ogni pasto in una nazione diversa. Pranzo in Cina, cena in Perù, spuntino in Ghana… ciò che distingue Parigi dalle altre capitali europee sono le boulangeries. Impossibile non vederle, assurdo non essere attratti da quei profumini burrosi, da pazzi sottrarsi alle viennoiseries. Croissant au beurre, pain au chocolat, pain aux raisins, pain suisse. E poi c’è il pane. La baguette, con il suo bel concorso che porta il miglior panettiere a rifornire per un anno le tavole dell’Eliseo.
A Parigi stiamo solo tre giorni, io e il Confratello Marco Di Stefano, ma l’agenda è fitta. Tra riunioni per nuovi progetti internazionali, caffè e birre con amici parigini e qualche riposino, però, abbiamo ben tre colazioni da festeggiare.
La notte siamo alloggiati alla Butte aux Cailles, collinetta sulla Rive Gauche che pare più un villaggio di campagna che un quartiere della movida parigina, ma in posizione strategicamente vicina a L’Essentiel, Brun e Huré, ottime boulangeries che risolvono anche il problema del pranzo: il piatto tipico parigino (a detta dei parigini stessi) è la baguette jambon beurre – che non è un nome in codice, è proprio una baguette farcita con burro, formaggio e prosciutto cotto.
Per la sera, sarà la fortuna a guidarci. Una tappa doverosa alla Cartoucherie per Une chambre en Inde di M.me Mnouchkine ci porta alla scoperta di zuppe indiane al cocco e meravigliose bevande allo zenzero. La ricetta? Grattugiare lo zenzero fresco, farlo bollire in acqua, far raffreddare, aggiungere succo di limone, menta fresca e zucchero di canna. Pare semplice, ma il segreto che non siamo riusciti a svelare sono le quantità. Perché il diavolo sta nei dettagli.
La fortuna ci porta anche alla Chinatown del XIII arrondissement, non al baracchino che offre baguettes ripiene di involtini primavera bensì da Le Bambou, dove ci consigliano il NEM NƯỚNG, piatto di polpette di maiale, vermicelli di riso, verdure e menta fresca da confezionare in fogli di pasta di riso e intingere in una salsina non tracciabile. L’hanno consigliato a noi, e noi lo consigliamo a voi.
Il turismo invece non ci arride. Visitiamo solo Saint-Sulpice, la seconda chiesa della città per grandezza, che con la sua meridiana a obelisco è stata immortalata ne “Il Codice Da Vinci”, e ne apprezziamo molto la cappella completamente affrescata da Delacroix. Tentiamo una puntata al Jardins des Plantes, l’orto botanico (ho il feticcio dei giardini botanici) e manchiamo la primavera di qualche giorno, trovandolo tristemente ancora spoglio. Ci sarebbe parecchio da vedere, tra le serre, la galleria dell’evoluzione, le sculture, gli animali, ma il Flixbus ci aspetta per il ritorno.
Non prima di un ultimo felafel.