LEVITICO pentateuco #3

da “The Mexican” di Jack London

di Chiara Boscaro, Marco Di Stefano, Marco Pezza

regia di Marco Di Stefano

drammaturgia di Chiara Boscaro

con Marco Pezza

voce di Francesco Boscaro

musiche di Lorenzo Brufatto

assistente alla regia Cristina Campochiaro

progetto grafico e visivo di Mara Boscaro

un progetto La Confraternita del Chianti

una produzione Associazione Interdisciplinare delle Arti
Teater Albatross (Gunnarp – Svezia) 

in collaborazione con Teatro Verdi – Teatro del Buratto e Associazione K.

si ringraziano

Daniele Mazzolla e DOJO RUAN

Ferro Design Milano

finalista Premio delle Arti Lidia Petroni 2015/Residenza IDRA

progetto selezionato da Être Associazione, con il sostegno di Regione Lombardia e Fondo Sociale Europeo in collaborazione con Teater Albatross (Gunnarp, Svezia) all’interno del progetto Creative Cast Away

Quando uno straniero dimorerà presso di voi nel vostro paese, non gli farete torto.

Lo straniero dimorante fra di voi lo tratterete come colui che è nato fra di voi;

tu l’amerai come te stesso perché anche voi siete stati stranieri nel paese d’Egitto.

Io sono il Signore, vostro Dio.

[Levitico 19,33-34]

La terza parte del Progetto Pentateuco affronta il tema delle regole. Il Levitico parla delle regole che un popolo in cammino si da. Le regole per vivere. Le regole del culto. Le regole del corpo. Frattura per frattura, occhio per occhio, dente per dente.

Il nostro Levitico parte da un racconto di Jack London, “Il Messicano”, per raccontare una distopia non troppo fantascientifica. In un Paese in cui gli immigrati sono fuorilegge, il Movimento Liberazione Immigrati porta avanti una Rivoluzione contro il Governo. Ma servono sempre nuove risorse per il Movimento costretto alla clandestinità, servono soldi per le famiglie degli scioperanti, servono mezzi per l’organizzazione…

In questo mondo distopico si muovono diversi personaggi. Poco o niente li accomuna, se non il passaggio nelle loro vite di un misterioso ragazzo di cui ignoriamo la storia, di cui ignoriamo l’origine, di cui, in effetti, ignoriamo tutto.

Marco Pezza attraversa sei diversi personaggi, in questo giallo fatto di rivoluzionari, sadici, allenatori, organizzatori di incontri di boxe e divinità inaspettate. Alcuni di questi personaggi sono grotteschi, altri volgari, altri glaciali. Dipende da quali regole decidono di infrangere e quali decidono di rispettare.

Un ring che è simbolo della boxe, ma che è anche metafora della condizione del protagonista del racconto, il personaggio del quale tutti parlano, ma che si vedrà solo alla fine. Il Messicano. Orfano, straniero, costretto a combattere per sopravvivere. E mentre l’azione scenica prosegue l’attore/arbitro si libera dalle corde del ring e prepara lo spazio al Messicano. L’attore smette di essere arbitro e diventa pugile. Fuori i secondi, la campanella sta per suonare. L’ultimo incontro ha finalmente inizio.

  

Rassegna stampa

“C’è una distopia di fondo in questa narrazione, una distopia che sinistramente si avvicina per contingenze e personaggi alla situazione attuale italiana (ma non solo italiana), fatta di intolleranza e di accanimento verso lo straniero, il diverso.” (Michele Di Donato, www.ilpickwick.it)

“Il testo […] si tiene sapientemente in bilico tra giallo, fantascienza e thriller politico. Tra apparizioni di un bizzarro Dio con le sembianze di Morgan Freeman, raggelanti comunicati politici e bislacchi allenamenti di pugilato, i ritmi scorrono rapidi come in una buona serie televisiva e non mancano alleggerimenti e risate. Ma il ring su cui si combatte la partita è quello della nostra civiltà occidentale; e faremo bene – come ci ricorda la drammaturgia complessa e poco consolatoria di Levitico – a non accontentarci degli slogan pre-confezionati e delle risposte pret-à-porter che ci vengono proposte.” (Maddalena Giovannelli, Hystrio numero 3/2016)

“Una nuova scommessa vinta dalla Confraternita, che dimostra che, anche quando le atmosfere si fanno dure e tutt’altro che raffinate, anche un pugile, per essere efficace, deve avere una sua eleganza. Un metodo. Perché tutti siamo pugili attaccati e con tutto e insieme niente da perdere, E non è accecati dall’istinto o dalla presunzione, che si può sperare di vincere. Perché «Occhi belli la “bellezza” non è cosa per noi. Ma la grazia, la grazia sì».” (Chiara Palumbo, artasapartofculture)

“In un racconto che si rivela un giallo, mantiene con abilità il mistero sul pugile che lotta nei combattimenti clandestini per una finalità svelata solo nella conclusione della vicenda; inoltre le severe regole della boxe indicano, attraverso un’efficace metafora, la necessità di rispettare la disciplina sia nello sport, sia nella quotidianità, anche in un periodo di rivoluzione.” (Albarosa Camaldo, Famiglia Cristiana)

“Un pugile messicano, un allenatore, il ministro razzista, il cinico organizzatore, un ragazzo: attorno a un ring si “gioca” una storia (ispirata a Jack London) che fa riflettere sul dramma degli stranieri. Sul palco del Verdi di Milano protagonista il bravo Pezza.” (Fulvio Fulvi, L’Avvenire)

“Marco Pezza si cimenta in un a solo davvero impegnativo interpretando uno dopo l’altro tutti i personaggi della storia, tra cui un ministro della difesa un poco più che ipocrita, un allenatore di pugilato tutto poesia e cazzotti e addirittura Dio, che di certo viene raccontato un po’ diverso da come la tradizione (assai meno di Hollywood) ha abituato ad aspettarselo. (…) Che poi la boxe prima di essere uno sport è un mezzo fantastico per rappresentare i conflitti. E gli autori di questo testo di certo devono averlo pensato.” (Alessio Corini, MilanoFree)

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